Stefania Colombo/ settembre 14, 2020/ articoli, Dominique Cappa/ 0 comments

Ispirata da un bellissimo post di Sergio Daniele Donati, mi sono fermata a chiedermi come mai quest’anno ho provato incanto e meraviglia per i papaveri. Da sempre sono affascinata dai fiori. Alcuni mi colpiscono più di altri.
Qualcuno ha qualcosa “che non mi convince “. Lo so, sembro un po’ folle, ma è la verità.
I papaveri erano fra questi. Non mi convincevano.
Naturalmente non mi sono mai soffermata a pormi delle domande sul perché alcuni fiori mi piacessero più di altri, o perché alcuni, addirittura, non mi piacessero proprio.
Ma l’attrazione provata a primavera per questo delicato fiore mi ha fatto pensare.
Come dicono scherzosamente alcune mie pazienti, sono una strizzacervelli, e quindi so, per certo, che nulla, proprio nulla di quello che ci riguarda è privo di senso.
Ogni piccolo gesto, se lo prendiamo in considerazione (se gli diamo considerazione) ci può svelare qualcosa di importante di noi di cui magari ancora non siamo consapevoli.
E così ho dato considerazione al cambiamento del mio rapporto con i papaveri.
Che cosa mi colpisce di più di questo fiore? La sua vulnerabilità.
Ha uno stelo sottile, dei petali delicatissimi e caduchi. Non ha foglie. Mi dà l’impressione che basti un colpo di vento per spazzarlo via.
Mi sono accorta di quanto io abbia temuto la mia vulnerabilità, così tanto da non poterla soffrire nemmeno proiettata su un innocuo fiore.
Sono sempre stata disponibile ad accogliere quella degli altri, ma terrorizzata dalla mia.
Cos’è essere vulnerabili? È cadere sotto i colpi della vita. È sentire che gli altri possono farti soffrire, che i colpi passano anche sotto le maschere difensive, semplicemente non percepiamo il male ma le ferite si formano.
E io sono vulnerabile. Sono vulnerabile alla sofferenza delle persone che amo. Il loro dolore mi suscita dolore, e ancora di più è doloroso non poterlo guarire.
Sono sensibile al rifiuto, alla critica, all’aggressività. Mi colpiscono, mi fanno male.
Ma la mia vulnerabilità non mi fa cadere sotto un soffio di vento. La paura della propria vulnerabilità fa credere invece questo.
Umanità e vulnerabilità sono inscindibili. Come posso avere amor proprio se non sono anche vulnerabile? Come posso voler bene, amare, se non sono vulnerabile?
Il punto è accorgersi anche della propria forza.
Credo di essere riuscita a rimanere incantata dai papaveri perché dopo tanti anni di lavoro su me posso finalmente dire che ho imparato a conoscere la mia forza. Quella vera.
Non quella difensiva della “brava, saggia, comprensiva, forte Dominique“ .
Quella costruita cadendo e rialzandomi (vi assicuro che mi è capitato non poche volte). Quella cresciuta smettendo piano piano di inorridire per i miei limiti. Giuro, io letteralmente inorridivo per i miei limiti!
La forza cresciuta smettendo di scappare da quello che provo, senza però rimanere imprigionata nelle mie emozioni e nei miei pensieri negativi. Ma anche la forza di allontanarmi da situazioni che mi creano malessere senza la paura di essere giudicata male o di perdere qualcuno.
Sottolineo la parola “finalmente” e lavoro su di me perché non è facile diventare forti, non è facile nemmeno accorgersi di esserlo. Eppure è sempre possibile per tutti noi e a qualunque età.
Accade piano piano, giorno dopo giorno, delusione dopo delusione. La strada è non smettere mai di cercare di stare meglio, di essere felici.
Quando la mia vulnerabilità mi faceva paura, vedevo solo la fragilità dei papaveri. Oggi vedo la loro Bellezza, la soave delicatezza e osservo anche che fioriscono ovunque, basta a una crepa nell’asfalto e può crescere un papavero rosso.

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